E’ il 18 giugno del 1982 quando viene ritrovato il corpo privo di vita del noto banchiere italiano Roberto Calvi. Si è impiccato sotto al ponte dei Frati Neri.
Suicidio, o almeno tutto così porterebbe a pensare a prima vista.
Ma si tratta dell’inizio di un giallo che ad oggi non ha ancora trovato risposte certe capaci di fugare i molti dubbi che circondano questa morte eccellente.
Presidente del Banco Ambrosiano dal 1975, Calvi nel 1982 è ormai al capolinea di una carriera nell’alta finanza costellata da ombre inquietanti. Iscritto alla Loggia P2 (così come lo era anche un altro noto bancario, Michele Sindona, il suo predecessore), Calvi era un autentico genio nell’architettare mille e più rivoli societari nei paradisi fiscali di tutto il mondo attraverso cui ha costruito un vero e proprio impero.
Ha anche ottime entrature in Vaticano. E conosce bene, molto bene proprio il monsignor Paul Marcinkus che all’epoca era il Deus ex machina dello IOR.
Attraverso un vero e proprio sistema improntato alla creazione di una serie di “scatole vuote” ossia di una serie di società di comodo dislocate un po’ ovunque (ma tutte con le casseforti ben protette in Svizzera), Calvi, unitamente a Marcinkus e a diversi altri soggetti, diviene il punto nodale di una serie di loschi traffici che vanno dal riciclaggio del denaro sporco proveniente dalla criminalità organizzata, al traffico d’armi fino a giungere al finanziamento di Solidarnosc, il sindacato cattolico polacco per cui Papa Giovanni Paolo II non ha mai nascosto le proprie simpatie.
Calvi è quindi il principale amministratore di una macchina per far soldi che non conosce limite, soprattutto etico.
Ma tutto precipita improvvisamente nel 1981 con il crac del Banco Ambrosiano.
In quella circostanza Roberto Calvi viene arrestato. Contro di lui pendono accuse gravissime. Dopo qualche tempo tuttavia viene scarcerato e fugge all’estero tentando disperatamente di salvare il salvabile chiedendo aiuto ad una serie di politici di spicco a cui lui in passato aveva elargito favori oltrechè fondi illimitati. Ma tale strategia si rivelerà letale e lo porterà dritto dritto (con ogni probabilità) proprio all’appuntamento con la morte quel 18 giugno 1982 sotto il ponte londinese dei Frati Neri.
Sono in molti infatti ad essere convinti che il suicidio nel noto banchiere altro non sia che una messa in scena ben congeniata per levare di mezzo uno scomodissimo interlocutore ormai con le spalle al muro.
Il corpo di Calvi viene ritrovato con dei mattoni infilati nelle tasche ed in possesso di una importante somma di denaro (circa 15000 dollari).
Viene ritrovato anche un passaporto falso. E c’è anche un foglietto infilato in una delle tasche con una serie di nominativi scritti a penna. Tra questi figuravano noti imprenditori, politici di primo piano ed una serie di appartenenti alla loggia P2 molto in vista.
Ma gli inquirenti inglesi, dopo un’indagine alquanto frettolosa, archiviano il caso come suicidio. Tuttavia qualche mese dopo il caso viene riaperto. A questo punto si comincia a parlare di omicidio.
Nel 1988 anche l’Italia si occupa ufficialmente del caso Calvi e l’Autoritaà Giudiziaria Civile stabilisce che il noto banchiere è stato assassinato, imponendo alla compagnia assicurativa (presso cui Calvi aveva stipulato una polizza sulla vita) di risarcire la famiglia con i 3 milioni di dollari previsti per il caso di morte violenta.
Nel 1992 è proprio la Procura di Roma a riaprire il caso attraverso tutta una serie di nuovi elementi. Gli inquirenti capitolini non sembrano avere dubbi in merito: Calvi è stato assassinato. Così la competenza passa a Roma.
A fare il loro ingresso nell’inchiesta questa volta sono Pippo Calò e Flavio Carboni. Le accuse nei loro confronti sono pesantissime. I due sarebbero stati i mandanti della brutale esecuzione di Calvi, colpevole di aver sottratto il denaro di Calò e di Licio Gelli, maestro “venerabile” della P2.
Dopo una durissima battaglia giudiziaria tutti gli imputati vengono assolti nel 2010 quando la Corte d’assise d’appello di Roma ha confermato le assoluzioni per Flavio Carboni, Pippo Calò ed Ernesto Diotallevi per l’omicidio del banchiere.
Tuttavia nelle motivazioni della sentenza si legge: “Roberto Calvi è stato ammazzato, non si è ucciso”.
E tanto basta ad alimentare il giallo per una morte che ha sepolto per sempre una lunga serie di segreti inconfessabili.
Roberta BRUZZONE – criminologa e psicologa forense Presidente dell’Accademia Scienze Forensi