Per ora non esistono scarpe e t-shirt biodegradabili ma la multinazionale Puma si dimostra sensibile alla salvaguardia dell’ambiente e ipotizza, in un futuro non così remoto, la possibilità di creare capi che non inquinino e che siano anche riciclabili.
E non solo, perché Franz Koch, amministratore delegato del brand leader mondiale dell’abbigliamento sportivo, annuncia che: “presto saremo in grado di creare le prime scarpe, magliette e borse riciclabili o compostabili“.
La filosofia che accompagna questo progetto è quella Cradle to Cradle (Dalla culla alla culla) e che segue due circuiti, quello tecnico e quello biologico. Ciò significa che, da un paio di scarpe vecchie, deve essere possibile produrne altre o, con gli stessi materiali, dare origine a prodotti diversi, ad esempio i pneumatici per auto, ma anche, una volta finito di utilizzare quel determinato capo, invece di buttarlo nella spazzatura, “riciclarlo” come compost per il giardino di casa.
L’azienda tedesca ha già avuto contatti in questo senso e il primo risultato di una collaborazione con lo stilista Yves Béhar, è stata Clever Little Bag, una borsa riutilizzabile e fatta di materiale riciclabile che dovrebbe sostituire la classica scatola di cartone che contiene le scarpe. Si tratta di un imballo leggero, realizzato con il 65% in meno e che ha il merito di ridurre il consumo di acqua, energia e carburante durante la produzione di oltre il 60% all’anno.
Non si tratta, comunque, dell’unico esempio di moda “verde” dal momento che lo scorso ottobre la stilista e microbiologa tedesca Anke Domaske ha presentato la sua nuova collezione di abiti interamente realizzata con tessuto in fibra di latte, materiale sostenibile al 100 per cento, mentre a marzo la designer italiana Alberta Ferretti, con Emma Watson come testimonial, ha lanciato Pure Threads, linea di capi in fibra organica ed ecosostenibili.
Ma l’idea dei capi ecosostenibili sarebbe tutta italiana, con Filippo De Martin come antesignano. E’ stato lui, infatti, ad aver ideato Wear and Toss, un progetto che sviluppa un materiale prodotto interamente da fibre vegetali come la cellulosa o la viscosa e dai polimeri ricavati da oli di mais o barbabietola.
Ovviamente non ci è dato sapere se questo tipo di tessuto attecchirà nel mondo della moda, certo è che dalla sua ha almeno due grandi vantaggi: la biodegradabilità e il costo, perché una maglietta dovrebbe costare solo 2 euro.
Ma com’è fatto questo tessuto? “E’ un materiale stabile, un jersey, una maglina morbida, con elasticità e effetto drappo come i normali tessuti” ha spiegato De Martin. L‘idea gli è venuta guardando gli abiti perennemente sporche dei suoi figli e il desiderio di creare qualcosa di usa e getta senza però inquinare come, ad esempio, un pannolino.
Per cercare di trasformare in realtà questo progetto, De Martin ha dichiarato di cercare un finanziatore che abbia voglia di credere in questa iniziativa.
Vera Moretti