Chiariamo sin da subito una cosa: mal digerisco il termine anglosassone street food. Dato che abbiamo una lingua meravigliosa ed esiste un termine corrispettivo, credo sia più opportuno parlare di cibo da passeggio, termine con cui si identificano quei piatti che vengono venduti per strada, nelle bancarelle di tutta Italia. Questi piccoli banchi delle meraviglie offrono, da Nord a Sud, leccornie di ogni genere a seconda del territorio in cui ci troviamo: pesciolini fritti, crocchette, pane e panelle, supplì, panini con la milza o con il lampredotto, e potrei continuare all’infinito.
Ogni regione d’Italia ha una storia di cibo di strada. Se dovessi pensare alla mia Palermo, subito nella mia mente riaffiorano i ricordi di quando al mercato andavo a mangiare la frittola, ovvero calletti di maiale cotti al vapore e fritti e poi venduti come squisito cibo da passeggio.
Se un tempo le bancarelle della gastronomia da strada venivano guardate con sospetto dalla borghesia e da tutti i signori con la puzza sotto il naso, oggi invece le cose sono decisamente cambiate.
L’atteggiamento snobista, per molti versi, era dovuto alle condizioni igienico-sanitarie che 20 o 30 anni fa non erano esattamente quelle di oggi. Le bancarelle di cibo da passeggio oggi si sono decisamente evolute e seguono tutta una serie di norme che garantiscono la massima igiene dei cibi che vengono cucinati per strada.
Ricordo che negli anni ‘70 mi recavo spesso a mangiare il panino al mercato del Capo di Palermo, nel popoloso quartiere Seralcadio. Quando ci torno adesso è immediatamente tangibile la differenza rispetto al passato: la stessa bancarella, ad esempio, oggi è fatta di mattonelle di ceramica e i contenitori in cui viene venduto il cibo sono di alluminio o di plastica norma. Questo fa sì che il ricco signore, abituato a vivere in un contesto più ovattato, guardi con meno sospetto il mondo delle bancarelle che vendono cibi pronti.
Se questo da una parte è un bene, dall’altra è pur vero che quest’evoluzione ha in qualche modo fatto perdere fascino a questi luoghi veraci: oggi le botteghe a Palermo non sono più quelle che ricordavo un tempo.
L’Italia è piena di posti all’aperto che cucinano il cibo del popolo: ad esempio, a Roma, a Campo dei Fiori, vendono, rigorosamente nei coppi, degli squisiti filetti di baccalà fritto, in Campania, regione con cui la Sicilia da un punto di vista culinario ha molte cose in comune, vendono le pizze fritte così come in Puglia, e così via discorrendo.
Il cibo da passeggio è una tradizione da tutelare e portare avanti. solo una cosa vi chiedo: non chiamatelo street food!
Filippo La Mantia – chef del ristorante dello storico Hotel Majestic di via Veneto a Roma