Avevano festeggiato la Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne scegliendo come simbolo l’indumento femminile per eccellenza : la gonna. Così, le donne francesi, meno di un anno fa, si erano unite, con il supporto di alcune famose attrici d’oltralpe quali Sophie Marceau, Fanny Ardant e Isabelle Adjani, la madrina della manifestazione, eleggendo la gonna come “l’anti-burqa”.
La libertà di vestirsi come si vuole senza secondi fini era sembrato, in quel caso, il modo migliore per contrastare il maschilismo. E ancora adesso potrebbe rappresentare il simbolo di una guerra finalmente vinta, simbolo di una società che ha saputo svecchiarsi, liberarsi dei pregiudizi e imparare a rispettare le persone al di là delle apparenze.
Belle parole, e belle intenzioni, certo, ma, purtroppo, ancora utopiche.
Sì perché sappiamo tutti che un lieto fine del genere sarebbe impossibile anche nelle favole, che ancora oggi, se una ragazza in minigonna viene aggredita, c’è chi dice che “se l’è cercata”.
Ma allora, questa gonna, corta, lunga, stretta o larga, le donne quando la possono mettere? Ci sono delle regole da rispettare per indossarla? Bisogna misurare i centimetri per sapere se, una volta fuori casa, saranno considerate “ragazze perbene” o “sgualdrine”?
Ebbene, siamo ancora a questo punto, e non solo in Francia, dove era avvenuta la manifestazione l’anno scorso e dove, in questi giorni, Chantal Jouanno, ministro dello sport francese e campionessa di karatè, ha deciso di rinunciare definitivamente alla gonna quando si reca in Parlamento perché “non potete immaginare tutti i commenti dei deputati dietro di me”. E se lo dice lei, una donna bella ed attraente, certo, ma anche e soprattutto forte e combattiva, c’è da crederle.
Ha resistito finché ha potuto, a recarsi all’Assemblea Nazionale in gonna, perché, di fronte a tanti uomini in abiti scuri e un po’ funerei, desiderava distinguersi e ricordare, soprattutto a se stessa, di essere una donna, nonostante si trovasse in un mondo di “maschi”. Forse ai suoi colleghi avrebbe dovuto spiegarlo, che amava indossare abiti femminili per gratificare la sua femminilità e non i loro occhi, e che, nonostante la gonna, lei rimaneva un Ministro e, per questo degna di rispetto. Ma è anche vero che si vorrebbe non dover più puntualizzare ciò che è ovvio e che in certi ambienti non ci si aspetterebbe un trattamento del genere.
La foto che ritrae la signora Jouanno mentre si reca al lavoro in pantaloni ha fatto notizia, più di ciò che davvero dovrebbe essere mostrato in prima pagina. Ciò che si vede è una donna che sorride, consapevole di aver preso una decisione suo malgrado, ma costretta dalle circostanze di un ambiente di lavoro ostile.
Chi ne esce male, ovviamente, sono i politici colpevoli di apprezzamenti pesanti su si lei, ma ciò che fa ancor più ribrezzo è pensare che, probabilmente, minimizzeranno l’accaduto, nascondendosi dietro la solita scusa, maschilista anche quella, per cui un uomo si sente quasi obbligato a fare commenti al passaggio di una bella donna.
E invece, cari uomini, francesi, italiani, di qualsiasi razza e cultura, non è così. Il silenzio, in questi casi, è la miglior soluzione.
Vera Moretti