Nelle grandi città come Milano, verso le 18.30 i locali vengono letteralmente presi d’assalto dai giovani che tra un cocktail e l’altro si abbuffano di una vasta scelta di prodotti, che tra primo, secondo e dessert saziano come una vera e propria cena. C’è addirittura chi non volendo spendere troppo, vive di happy hour, cenando in compagnia di qualche amico.

La verità però è che il più delle volte non si mangia né beve bene. Il motivo? Bisogna ammortizzare le spese e con soli dieci euro non si può pretendere troppo. Un bicchiere di vino e un buffet pazzesco sono comunque un buon modo per passare del tempo insieme ai propri amici.

Di happy hour fatti con tutti i crismi, purtroppo, non se ne vedono molti. A parte le cruditè e qualche raro piatto ben cucinato, le pizzette e le focacce, immancabili in tutti gli aperitivi, sono quasi sempre fredde e talvolta stantie. Quello che manca, dunque, è la cura per il dettaglio, che non interessa né al titolare del locale né tantomeno al cliente che a questo prezzo sa di non poter pretendere molto.

Tutto ha un costo: se hai un buon prodotto lo devi – e lo fai – pagare. Prendete le tapas spagnole: a Madrid e Barcellona ho assaggiato  dei piatti deliziosi. In Italia è diverso: alle 18.30, quando esci dall’ufficio, hai fame e addenteresti tutto ciò che puoi trovare, senza badare troppo alla qualità del cibo.

Anche io nel mio ristorante pratico la cultura degli happy hour, ma al contrario di tanti altri, quando i clienti arrivano, verso le 19, servo ai loro tavoli caponatina, panelle, crocchette, arancini…. Tutto fatto al momento, ovviamente, e di buona qualità.

 

Filippo La Mantia – chef del ristorante dello storico Hotel Majestic di via Veneto a Roma