Perché se una donna è in gamba e sa farsi valere si dice che “porta i pantaloni” e che “ha gli attributi”, caratterizzazioni tipicamente maschili? Perché i nomi delle professioni sono così discriminatori? La risposta è probabilmente da ricercare nel fatto che ancora oggi viviamo in una società prettamente maschilista. Non che lo si faccia apposta, ma siamo talmente assuefatti a questi luoghi comuni che nemmeno ce ne rendiamo più tanto conto. Eppure basta soltanto fermarsi a riflettere…

Cosa c’entra questo con le donne in carriera? Semplice: secondo uno studio pubblicato dal Giornale Europeo della Psicologia Sociale e condotto da Magdalena Formanowicz, docente presso l’University of Social Sciences and Humanities di Varsavia, le lavoratrici per essere apprezzate devono essere associate a titoli maschili. Vale a dire: la femminilizzazione dei termini che denotano le professioni danneggerebbe proprio le dirette interessate.

Sebbene sul campo le qualità tipicamente femminili siano sempre più apprezzate, sul lavoro gli uomini finiscono per essere comunque avvantaggiati rispetto a noi donne che, ad ogni modo, non ci lasciamo intimidire.

«La femminilizzazione della lingua aiuta a rendere le donne più visibili e importanti – spiega la Dott.sa Formanowicz – ma a quanto sembra ciò non è sempre un vantaggio. Sottolineare la femminilità con un titolo femminile può abbassare la valutazione delle donne in un contesto lavorativo». Sembrerebbe dunque che il successo delle donne resti tutt’oggi ancorato a un sottile equilibrio tale per cui per fare vedere quanto valiamo sia indispensabile essere appellate con titoli maschili, sperando di non eccedere nell’invidia professionale. Ma c’è un altro problema: sempre secondo la ricerca «le donne che usano titoli femminili vengono sospettate di essere femministe, cosa che agli uomini conservatori non piace».

Da donna dico e ammetto: ci troviamo di fronte a un cane che si morde la coda. La soluzione potrebbe venire da Neil Ashton, presidente del “The Ashton Partenership”: «se una donna vuole un titolo che sottolinei la sua femminilità, dovrebbe averlo. Ma ci deve essere anche spazio per le donne che vogliono titoli maschili, se questo le aiuta e le rafforza. L’importante è che le donne diventino più importanti nei ruoli che contano».

In sintesi: noi donne vogliamo titoli femminili, ma questi invece di farci fare carriera ci tagliano le gambe e poi potrebbero essere tacciate di femminismo.

Piuttosto che parlare ancora di maschilismo e femminismo, non sarebbe giusto adeguare la lingua ai ruoli e al fatto che ormai uomini e donne possono assolvere alle stesse mansioni pari grado e nella stessa misura? Dando comunque per assodato che se i sessi sono due e il valore è lo stesso, allora anche i nomi con cui vengono chiamati possono essere declinati al maschile e al femminile, senza che nessuno se ne risenta. Parola di “tato” e “muratrice”.

Giulia DONDONI