C’è stato un tempo in cui abbiamo fatto di tutto per nasconderlo. Perché il logo manifestamente stampato su capi e accessori, dopo il grande successo vissuto a cavallo tra gli Anni ’80 e ’90, era diventato cafone, simbolo di una società che tendeva ad ostentare ricchezza, sinonimo di una classe sociale che aveva bisogno di un marchio in bella vista per affermare la sua ricchezza, la sua potenza, o semplicemente per affermarsi, per pretendere rispetto.
Il logo è stato, insomma, per molti anni demonizzato, visto come simbolo della peggiore globalizzazione, strapotere dei grandi marchi, mancanza di personalità, necessità di autocelebrarsi, spia di un’insicurezza latente, e nel contempo di ego ipertrofico. Insomma nel logo si è vista l’incarnazione del maligno.
Oggi, in un momento storico in cui la moda cerca di ritrovare la sua identità trovando rifugio e conforto nella storia dei brand, il logo non solo torna prepotentemente alla ribalta stampato in versione oversized, monogram o ossessivamente ripetuto su capi e accessori, ma viene posto in evidenza su basiche T-shirt, non in qualità di status symbol, ma quasi come se fosse simbolo di appartenenza ad un clan.
La tendenza, forse fra le più forti di questa primavera estate 2018, subito consacrata dallo streetstyle, viene declinata in una serie di T-shirt, per lo più monocromatiche così che possa meglio risaltare, in cui il logo diventa assoluto protagonista. Nella versione vintage, ripescato dagli archivi (si pensi per esempio a Versace, a Gucci e a Burberry), lettering, monogram, minimale e a chiare lettere, barocco, o come se fosse un anagramma. Nella gallery trovate nelle nostre preferite per questa primavera, da indossare con jeans e blazer, sopra pantaloni di ogni foggia, materiale e colore, o sopra minigonne in denim.
Pinella PETRONIO