A proferire queste che sono la tre parole più belle della letteratura sull’amore fu Francesca da Rimini, riferendosi al suo amore Paolo Malatesta.
La donna parlava a Dante, nel V canto dell’Inferno, condannata ed eternamente dannata con lui per l’amore extraconiugale che li legò e che, una volta scoperti, li portò alla morte. Paolo, infatti, era il fratello del marito di lei, Gianciotto.
Amor, ch’a nullo amato amar perdona? continua così: “Amor, ch’a nullo amato amar perdona, / mi prese del costui piacer sì forte,/ che, come vedi, ancor non m’abbandona” e allude ad una doppia interpretazione.
Per Dante Alighieri, infatti, l’amore è passione travolgente, forza che resiste a tutto, pure alla morte e che travolge tutti i senti. Allo stesso tempo, però, se consacrato dal matrimonio (come quello di Francesca con il marito) è un amore che non perdona e non le consente di amare nessun altro.
Questo verso, divenuto eterno, si trova anche nelle canzoni italiane: “Serenata Rap” di Lorenzo Jovanotti Cherubini; in “Ci vorrebbe un amico” di Antonello Venditti e in “Un Tempo Indefinito” di Raf.