Alcuni studiosi hanno parlato di “follia a due“, una sorta di patologia allargata che non lascia alcuno scampo ai membri della coppia assassina. Comincia così un cortocircuito che coinvolge l’intero funzionamento delle due personalità e sul quale poco sembra influire il tipo di legame esistente tra i due. Lo stesso meccanismo di funzionamento patologico è infatti identificabile nelle coppie assassine in generale, a prescindere dal movente che innesca la scelta di uccidere e del tipo di costellazione che contraddistingue il legame: amanti eterosessuali, amanti omosessuali, madre e figlia, fratelli di latte, sorelle, amici del cuore, marito e moglie, cugini. Tutti quanti uniti sotto il segno del delitto.
Ma ancora oggi non sono del tutto chiari gli elementi che danno vita al mix letale in grado di trasformare due individui in una coppia di assassini, quali sono i passaggi fondamentali dell’evoluzione maligna del loro rapporto e quali sono i punti deboli di tale legame che porta molto spesso uno dei due a tradire l’altro, una volta seduti sul banco degli imputati.
La casistica in tema di delitti commessi da coppie di individui contenuta negli annali del crimine si perde nella notte dei tempi. È ancora oggi ben vivo il ricordo della brutale serie di omicidi commessi da Sarah Metyard e da sua figlia, nella Inghilterra del 1758, ai danni di apprendiste modiste orfane segnalate dalla parrocchia locale. Ma anche la nostra epoca ha conosciuto una serie di coppie assassine che nulla hanno da invidiare alla brutalità mostrata dalla coppia britannica. Come il noto caso Bebawi che si svolse a Roma nel 1964 e in cui i due coniugi egiziani si accusarono a vicenda dell’omicidio di Farouk Chourbagi, amante di Claire Bebawi. Per non parlare poi dei delitti di Novi Ligure o di Castelluccio dei Sauri, che ancora oggi, dopo una serie di condanne, non hanno ancora un perché.
Roberta BRUZZONE – criminologa e psicologa forense Presidente dell’Accademia Scienze Forensi