Nelle oltre 200 pagine di superperizia tutti i principali capisaldi della Procura sembrano sgretolarsi senza rimedio a cominciare dalle tracce biologiche individuate sul corpetto di Simonetta Cesaroni che identificano “con certezza la presenza di almeno tre soggetti maschili”. Ci sono, in particolare sul reggiseno, delle tracce riconducibili a Raniero Busco, che però all’epoca era il fidanzato di Simonetta. Ma gli altri uomini che sarebbero entrati in contatto con gli indumenti intimi della ragazza sono ad oggi sconosciuti.

Inoltre, la perizia nega categoricamente che i segni sul capezzolo della vittima possano rappresentare gli esiti di un morso: “Le due minime lesioni escoriative seriate poste al quadrante supero-mediale della base d’impianto del capezzolo sinistro non sono in grado di configurare alcun morso, oltretutto mancando l’evidente traccia di opponente, per cui restano di natura incerta”. Addirittura, gli esperti sostengono che possa trattarsi di un pizzicotto. I periti, poi, escludono che il sangue presente sulla porta della stanza dove è stata uccisa Simonetta fosse di Raniero Busco e la stessa cosa vale per il sangue trovato sul telefono e sullo specchio dell’ascensore.
Roberta-Bruzzone-criminologa

Insomma, non ci sono elementi per stabilire che l’imputato sia stato sulla scena del delitto e che abbia avuto dei comportamenti violenti nei confronti della vittima. Infine, la superperizia sposta l’ora del delitto: la ragazza non sarebbe stata uccisa tra le 17.15 e le 18.00 ma tra le 18.00 e le 19.00 e per quell’ora Raniero Busco ha un alibi inattaccabile. A questo punto l’esito del processo è segnato: piena assoluzione per non aver commesso il fatto. E tra qualche mese (Febbraio 2014) la parola passerà alla Corte Suprema di Cassazione.

Roberta BRUZZONE – criminologa e psicologa forense Presidente dell’Accademia Scienze Forensi

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