Le donne, come abbiamo più volte ricordato, stanno conquistando, dal punto di vista lavorativo, incarichi e poltrone sempre più prestigiosi e ciò avviene in tutto il mondo. Donne capi di Stato, donne cancelliere, donne Premi Nobel, … ormai sembra che nulla, o quasi, sia loro precluso.
Con una differenza: il gap in termini di guadagni tra maschi e femmine rimane alto ovunque.
Per non parlare, poi, delle aree geografiche dove guerra e carestie non permettono alle donne si emergere, ma anzi, la loro situazione appare difficile e pericolosa, perché spesso caratterizzata da violenza ed oppressione.
Il quadro della condizione mondiale femminile è offerto dal settimanale americano Newsweek, che ha potuto redigere uno “spaccato” veritiero considerando 165 Paesi ed analizzando lo status delle donne in 5 aree specifiche: il loro trattamento in termini di legislazioni statali, l’accesso alla politica, al lavoro, alla formazione e alla sanità.
In questa singolare coppa del mondo il titolo se l’è aggiudicato l’Islanda con il suo presidente donna, seguita a ruota da Svezia e Canada. Nonostante i primi dieci posti siano a quasi totale appannaggio dei Paesi europei, l’Italia non appare e, anzi, non rientra neppure nella top 20.
Ma la situazione certamente più drammatica la vivono le donne in Pakistan, dove ancora vengono uccise per motivi di onore, in Arabia Saudita, dove non possono neppure guidare, in Chad, dove non hanno il diritto legale praticamente di fare nulla e solo il 20% di loro è in grado di leggere. O nell’Afghanistan piagato da una mortalità femminile per parto elevatissima.
Un caso, in mezzo a queste tristi e vergognose realtà, che fa pensare in positivo è il Ruanda, che dal 2003 ad oggi ha visto le donne conquistare più del 50% dei seggi in Parlamento e raggiungere la quasi parità in termini di educazione ed istruzione.
Eppure come osservato da Anne-Marie Goetz, che lavora come consigliere umanitario per U.N. Women, “oggi è ancora difficile cercare di quantificare o misurare l’impatto che le donne hanno in politica, perché sono troppo pochi quei Paesi che hanno nel loro Parlamento una presenza femminile in grado di fare la differenza”.
Ci auguriamo, dunque, che il Ruanda non rimanga un caso a parte ma che rappresenti il primo passo verso una parità sempre più globale.
Vera Moretti