Classe 1920, un padre con una piccola impresa nelle pompe funebri di Patti, un paesino in provincia di Messina, Michele Sindona si contraddistingue sin da ragazzino per una spiccata intelligenza ed un interesse per lo studio che lo porterà nel 1942 a laurearsi giovanissimo in giurisprudenza. Poi arriva il trasferimento a Milano qualche anno dopo, una volta giunta al termine la Seconda Guerra Mondiale.
Nel capoluogo lombardo Sindona comincia una brillante carriera come commercialista e all’inizio degli anni ’50 diviene un professionista del settore ricercatissimo, soprattutto in considerazione della sua peculiare “specializzazione”: esportazione di capitali nei cosiddetti “paradisi fiscali”. Ma non è tutto.
Diventa espertissimo dei meccanismi borsistici al punto da ottenere in breve tempo una vera e propria fortuna economica che sara’ determinante per dare inizio alla sua attività di banchiere di lì a qualche anno. Sarà proprio lui negli anni ’60 ad “importare” in Italia gli strumenti finanziari utilizzati oltreoceano (Wall Street). E naturalmente il suo straordinario “talento” nel trasferire denaro all’estero, evitando accuratamente tutti i vari oneri fiscali, ad un certo punto attira l’attenzione anche della criminalità organizzata, che gli affida la gestione dei proventi del traffico di stupefacenti.
Appena un anno dopo aver iniziato questa “collaborazione” con una delle famiglie mafiose più potenti negli anni ’50, Sindona è già in grado di acquistare la sua prima banca. Ma è solo l’inizio.
Qualche anno dopo Sindona arriva alla corte del cardinal Montini, futuro papa Paolo VI, e fa il suo ingresso trionfale nello IOR. Comincia cosi’ un traffico spregiudicato di ingenti somme di denaro attraverso la banca di Sindona, il Vaticano ed una serie di banche svizzere compiacenti. L’impero finanziario di Sindona non sembra avere limiti nè confini. Ma niente dura per sempre.
All’inizio degli anni ’70 la fortuna comincia a girare dalla parte sbagliata per il noto banchiere e finanziere siciliano.
Il primo serio scontro sarà con Enrico Cuccia, fondatore di Mediobanca, che si opporrà all’OPA per acquistare la finanziaria Bastogi presentata da Sindona.
Nel 1974 arriva uno dei più seri crolli del mercato azionario e Sindona è uno di quelli che ne pagheranno un conto salatissimo. Qualche mese dopo il cosiddetto “crack Sindona” la sua banca ebbe serissimi problemi tanto da essere dichiarata insolvente e lui venne accusato di frode e “mala gestione”. E poi arrivarono le dichiarazioni di alcuni pentiti di mafia ad accusarlo e ad indicarlo come figura centrale per il riciclaggio del denaro proveniente dal traffico di stupefacenti.
A quel punto anche la Banca d’Italia cominciò ad investigare sui traffici di Sindona. La situazione emersa era talmente grave, ingarbugliata e sconcertante da spingere l’organismo di controllo a nominare un commissario liquidatore. Non c’era più null’altro da fare.
A causa di questa situazione, che aveva coinvolto anche altri importati istituti di credito in ambito internazionale, Sindona venne arrestato per bancarotta fraudolenta e condannato sia in America che in Italia. Ma il banchiere messinese non era certo privo di importanti protezioni governative e finanziarie.
Per salvarlo dal suo tragico destino giudiziario intervennero prima la Democrazia Cristiana e poi anche la P2. Ma la situazione era destinata a peggiorare ulteriormente.
Nel 1986 Sindona venne condannato all’ergastolo per l’omicidio di Giorgio Ambrosoli, colui che aveva svelato la fittissima rete di traffici illeciti intessuta da Sindona nei suoi molti anni ai vertici della finanza internazionale. Secondo la Corte che lo condannò, Sindona era il mandante di tale terribile esecuzione. E anche in questa indagine ben presto si affacciò l’ombra della P2 di Licio Gelli.
Tuttavia Sindona non scontò mai quella condanna perché morì due giorni dopo la condanna all’ergastolo mentre era già in carcere portando con sè molti dei suoi inconfessabili segreti. Un ultimo caffè corretto al cianuro gli è stato fatale.
Roberta BRUZZONE – criminologa e psicologa forense Presidente dell’Accademia Scienze Forensi