«era chiaro, avendo noi una relazione sentimentale, che egli sarebbe stato felice di aiutarmi», spiegando che «avevo espresso il desiderio di cimentarmi in politica e quasi per caso, si presentò un’occasione importante durante la preparazione delle liste per le elezioni del Consiglio regionale in Lombardia: il presidente mi disse che don Verzé, l’allora rettore del San Raffaele, avrebbe avuto piacere di avere un esponente del suo istituto all’interno del Consiglio e siccome lo stesso Don Verzé in più occasioni si era espresso con giudizi lusinghiesi nei miei confronti venne quasi spontaneo pensare a me».
«È inutile dire che con una gioia pari alla inconsapevolezza decisi di accettare la proposta» ha concluso la Minetti che diventò consigliere regionale pidiellino «grazie al listino bloccato».
«Io non ho mai inviato nessuna delle parti offese a nessuna delle cene a casa del presidente – ha proseguito Minetti – continuo a non capire cosa posso aver organizzato anche perché nulla ho organizzato. Ritengo che l’accusa si fondi solo su un teorema privo della indicazione di concreti fatti di reato, fondato su un malcelato moralismo».
E su Ruby ha dichiarato: «Ho conosciuto Ruby ad Arcore, credo il 14 febbraio 2010, come tutte le altre partecipanti a quella serata, e così come è accaduto a tutte le altre non ho mai avuto modo di dubitare che l’età di Ruby fosse quella da lei dichiarata. Mi stupisce continuare a leggere di 122 contatti telefonici con lei, anzi lo escludo decisamente se gli stessi si riferiscono a fatti diversi da quelli poi accaduti il 27 maggio 2010».
E proprio rispetto al giorno in cui Karima El Mahroug, in arte Ruby, venne portata in Questura e la Minetti si recò negli uffici di via Fate bene fratelli, l’ex igienista dentale ha dichiarato che «in quell’occasione, e solo perché richiesta, mi ero prestata a quella che, da parte del Presidente era la volontà di aiutare nella precisa identificazione della persona che in quella, solo in quella occasione, si era rivelata essere una minore. Dopodiché in quei frangenti emerse anche la necessità dell’affidamento di Ruby, comunicatami dall’ispettrive Iafrate, ancora una volta come atto di generosità mi prestavo nell’immediato all’occorrenza – ha proseguito la Minetti – pensando di fare del bene, alla fine si trattava di un atto temporaneo e formale al fine di poter consentire alla Ruby di tornare a casa sua e non passare la notte nella camera di sicurezza in Questura, così come mi spiegava la stessa dottoressa Iafrate».
Arrivando nell’aula della V sezione penale del tribunale di Milano per partecipare a un’udienza del processo dove è imputata insieme con Emilio Fede e Lele Mora, ai cronisti, ha detto: «Sto una favola, sto benissimo, la politica non mi manca».
Per i tre imputati, nella precedente udienza, la pubblica accusa ha chiesto una condanna a sette anni di carcere per favoreggiamento e induzione alla prostituzione.
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