Il lavoro, per le donne manager, è tutt’altro che rosa.
Secondo una ricerca qualitativa effettuata da Onda, Osservatorio nazionale sulla salute della donna, e Key2People in collaborazione con Pirelli e Nestlè, infatti, il quadro generale presenta una donna invisa dai vertici aziendali, per il 63% formati totalmente da uomini, sottopagata, anche il 22% rispetto ai colleghi maschi e per nulla coadiuvata a svolgere le sue mansioni, quando ha la fortuna di arrivare in alto.
Hanno contribuito ad offrire questo “spaccato” di quotidiana vita lavorativa 20 donne manager professioniste di Milano, Roma e Napoli, che rispecchia fedelmente il triste 95mo posto occupato dall‘Italia circa la partecipazione della donna all‘economia nazionale. Con il risultato, desolante ma scontato, che porta una donna su due a rinunciare all‘impiego.
Nel 2008 l’Eurostat registrava un tasso di occupazione femminile sotto il 50%, con una forte sottorappresentazione nelle posizioni apicali. Oggi nulla è cambiato: le stime più recenti segnalano un 47% di donne lavoratrici. Il 53% non ce la fa o lascia perdere.
E chi, invece, tiene duro e prosegue per la sua strada? In questo caso, gli ostacoli che incontra non riguardano solo problemi in ufficio, ma anche la salute, tanto che gli psichiatri hanno coniato il termine di mal d’ufficio. Lo stress elevato, dunque, rappresenta un vero e proprio disturbo per 9 milioni di italiani, e di questi 7 su 10 sono donne.
Da Milano, il direttore del Dipartimento di neuroscienze dell’Azienda ospedaliera Fatebenefratelli, Claudio Mencacci, ha più volte lanciato l’allarme: troppo “scarsa l’attenzione da parte delle aziende alla salute psichica dei lavoratori, e soprattutto a quella delle dipendenti donna“. E, sempre a questo proposito, il dottor Mencacci ha ricordato che l’età a rischio è quella che coincide sia con la maternità sia con un’attività professionale molto intensa, ovvero tra i 30 e i 40 anni.
La spiegazione, a questo proposito, è piuttosto semplice: gli impegni sono tanti, e su più fronti, e assolverli tutti al meglio risulta sempre più difficile. Da un lato il lavoro che riempie gran parte della giornata e richiede sforzi fisici e mentali crescenti; dall’altro il partner, i figli da seguire nella crescita, la casa da gestire. E le più affaticate, secondo lo psichiatra, sono proprio le manager perché “le forti pressioni lavorative, le barriere psicologiche e culturali rendono la carriera manageriale femminile più difficoltosa e impegnativa“, conferma Francesca Merzagora, presidente di Onda.
C’è poi un altro aspetto da considerare: arrivare al top, per le donne, può essere sfiancante. Questo perché, come confermato da Manageritalia, la federazione nazionale dirigenti e quadri del terziario privato, solo il 18,2% fra le 40enni e il 16% fra le 41-45enni riesce ad affermarsi senza scorciatoie, favoritismi o regalie.
La causa di ciò va ricercata nella mancanza di una cultura di management e valorizzazione al femminile, sebbene secondo le statistiche le donne rappresentino una risorsa più qualificata (12,7% di laureate contro l’11% degli uomini).
E questo nonostante i pregi delle lavoratrici siano tanti, e universalmente riconosciuti: maggior propensione all’ascolto, capacità di motivare i propri collaboratori con riconoscimenti e gratificazioni e di sviluppare doti di negoziazione, creatività e flessibilità.
Ma la carriera è piena di insidie e compromessi e le donne manager lo sanno bene, anche se, pur consapevoli di sacrifici e “rospi” da ingoiare, non tornerebbero indietro, non rinuncerebbero a ciò che hanno meritatamente conquistato.
I risultati emersi da questa ricerca sono stati elaborati da un team composto rappresentanti del mondo aziendale, accademico, politico della sanità e dei media. Alla fine, sono state presentate sette proposte da presentare ad istituzioni e business community, per rivedere l’approccio tradizionale renderlo più moderno e flessibile.
In particolare, si richiede: “incentivazione al cambiamento culturale perché arrivino più donne in posizioni di vertice, combattendo gli stereotipi di genere – elencano gli esperti – promozione di azioni a livello di sistema con l’introduzione di un maggior numero di donne in posizioni apicali e riduzione del pay gap nel rispetto delle pari opportunità; abbattimento di barriere e discriminazioni per facilitare l’accesso della donna ai “piani alti” grazie anche a una formazione continua all’interno dell’azienda e in orari di lavoro; valorizzazione delle differenze con la creazione di team di lavoro misti; supporto della donna nella quotidianità attraverso programmi di welfare aziendali (aiuti per l’assistenza agli anziani e ai bambini, flessibilità di orari, valutazione delle performance in base ai risultati e obiettivi raggiunti più che all’effettiva presenza in sede di lavoro)”.
Oltre a tutto ciò, anche un sistema di promozione e prevenzione della salute femminile, per tenere sotto controllo lo stress da lavoro, ed evitare che si trasformi in malattia.
Vera Moretti