Gli anni ’80 per l’Italia sono un capitolo della storia recente fondamentale: nacque infatti il grande sistema del Made in Italy. La Milano da bere, quella col sapore dello spritz sempre in bocca, diventa il centro della creatività internazionale, dell’eterno scontro tra Giorgio Armani e Gianni Versace, i due interpreti più sensibili delle trasformazioni che hanno riguardato le donne. Da una parte c’è la donna in carriera, quella che indossa eleganti e impalpabili tailleur su cui Giorgio Armani lavora per sottrazione e morbidezza, rubando all’abito maschile e creando quello che verrà definito il “powering dress”. Dall’altra parte c’è Gianni Versace che inventa una donna sexy, perfino sfacciata e “sporcacciona”, come amava definirla Natalia Aspesi, ma glamour: profonde scollature asimmetriche e alti spacchi alle gonne portano alla ribalta un punto di vista assolutamente inedito e materiali nuovi.
Accanto a loro ci sono la tigre di Krizia, le architetture di stoffa di Gianfranco Ferrè, le righe a zigzag di Missoni. Una volta l’anno gli occhi sono puntati su Piazza di Spagna dove si svolge “Donna sotto le stelle”, ma il grande fermento di creatività è a Milano dove Beppe Modenese lavora che per della settimana della moda un appuntamento di richiamo internazionale. È nel frattempo nascono nuove leve: Prada debutta con le prime collezioni di abbigliamento e il duo Dolce&Gabbana irrompe nella scena, sono loro i due ragazzi prodigio.
E per le strade invece ci sono “i paninari” che dopo gli impegnati e impegnativi anni ’70, si abbandonano ai piaceri del consumismo: giubbino Moncler, jeans Americanino, felpe Best Company e scarpe Timberland, ciondolano a Piazza San Babila. Poi si diffondono a macchia d’olio in tutta Italia, finché non varcano i confini nazionali quando i Pet Shop Boys, dopo una visita nel capoluogo lombardo, decidono di incidere ” Paninari” e realizzano una videoclip con giovani veri paninari milanesi.
A Parigi l’enfant terrible Jean Paul Gaultier è all’apice della carriera, ma una nuova generazione di stilisti fa irruzione nella capitale della moda: i giapponesi. Nel 1981 Yohji Yamamoto sfila alla settimana dell’alta moda di Parigi, ma è nel prêt a porter che avviene la grande rivoluzione che porta le firme anche di Issey Miake e Rei Kawakubo: la passerella diventa una galleria d’arte concettuale, sfilano perfino artisti e l’abito è scomposto, spogliato di orpelli ma comunque elaborato: nasce il minimalismo.
Ma si sa che gli anni ’80 sono meglio noti come l’età degli eccessi, sempre e comunque. È la musica che più di ogni altro ambito influenza la moda: pantaloni skinny, fuseaux per le donne, colori fluo e spalline sono la regola. È Madonna a influenzare le ragazzine, il Duca Bianco David Bowie a conquistare i ragazzi. E dagli anni ’80 in poi musica, cinema e moda non si abbandoneranno più: da sempre influenzatisi reciprocamente, adesso il legame diventa commerciale. La star fa l’immagine del marchio e il marchio fa l’immagine della star. Tappeti rossi o passerelle, copertine di album o di riviste patinate si confondono: è l’età del benessere spensierato, dell’esibizione, anche solo attraverso un grande ciuffo vaporoso per cui è servita una bomboletta di lacca per fissare i capelli già impomatati di brillantina.
Andrea VIGNERI
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