A molti giovani telespettatori di 1992 – La serie i pezzi da centomila lire con il Caravaggio, con annessa Canestra di frutta sul verso, avranno detto poco o nulla. All’epoca, invece, erano soldi. Parecchi. Il pilot della nuova serie in onda su Sky Atlantic, nata da un’idea di Stefano Accorsi, parte proprio dal faccione del geniale pittore che riappare in superficie dalla tazza di un cesso dopo il maldestro tentativo di Mario Chiesa – sputtanato il giusto, il presidente (socialista) del Pio Albergo Trivulzio – di far scomparire una tangente (pagata dall’imprenditore Luca Magni, per adesso ignorato dalla sceneggiatura) da diversi milioni proprio nel luogo meno adatto. Per il Paese l’inizio della fine (e non solo della Prima Repubblica), per 1992 – La serie l’inizio delle danze.
Dopo il successo di Romanzo Criminale e l’apprezzamento internazione a Gomorra, Sky alza ancora l’asticella della qualità proponendo l’ennesimo lato oscuro della nostra storia ai suoi telespettatori. Buon debutto, in contemporanea su Sky in 5 paesi europei (Italia, Germania, Austria, Regno Unito e Irlanda), per la serie reduce dalla calorosa accoglienza al recente Festival di Berlino dove personaggi di fantasia si muovono in parallelo a quelli reali.
Stefano Accorsi è Leonardo Notte, un rampante pubblicitario esperto di marketing alla corte di un Dell’Utri che cita Zeman in Publitalia; Miriam Leone veste i panni di Veronica Castello, splendida showgirl da quattro soldi disposta a ogni compromesso pur di approdare a Domenica In; Tea Falco è Bibi Mainaghi, figlia viziata di un ricco imprenditore milanese corrotto; Guido Caprino è Pietro Bosco, ex militare rientrato dall’Iraq, candidato semianalfabeta in Parlamento per la Lega, e Domenico Diele è Luca Pastore, un giovane agente di polizia giudiziaria malato che lavora al fianco di Antonio Di Pietro (Antonio Gerardi).
Incastonate tra le note di Non amarmi di Aleandro Baldi e Francesca Alotta e Everybody hurts dei Rem, spiccano inevitabilmente le interpretazioni di Accorsi e della Leone che nelle poche immagine girate in esterni si muovono tra i manifesti del Partito dell’amore di Moana con la stessa disinvoltura con la quale la sceneggiatura di Alessandro Fabbri e Ludovica Rampoldi si destreggia tra l’ombra nemmeno troppo velata del Cav sullo sfondo e l’imminente crollo del sistema di corruzione, concussione e finanziamento illecito ai partiti che si porterà nella tomba la tanto bistrattata (a ragione?) Prima Repubblica.