Per capire se un bimbo, anche quando si trova ancora nella pancia della mamma, sta crescendo nel modo giusto, o almeno secondo i normali parametri, ci si basa sulle curve di crescita prenatali, che vengono utilizzate come riferimento per misurare, quando si effettuano le ecografie, lunghezza e peso del feto, ma anche la sua circonferenza cranica.

Per confrontare tali misure, si prendono una fascia di valori compresi tra un minimo e un massimo, generalmente individuati tra il 3° e il 97° percentile.
Ciò significa che se il peso di un neonato si colloca al 3° percentile, ci sono solo il 3% di bambini che pesano meno di loro.

Se, dunque, i valori non rientrano in questa curva, vuol dire che il feto mostra un ritardo o un eccesso di crescita e viene catalogato con le sigle SGA, se è troppo piccoli, o LGA, se è molto grande.

La possibilità di riconoscere una alterata crescita fetale che può causare un peso anormale alla nascita è di grande importanza dal punto di vista prognostico, in particolare quando il neonato è piccolo per età gestazionale: infatti in questo caso può presentare una serie di problemi a breve e lungo termine.

Ma i percentili sono stati stabiliti più di 50 anni fa, ed ora cominciano a risultare obsoleti, considerando che i valori di crescita di una popolazione cambiano con il cambiare dei tempi.

A questo proposito, nel mese di settembre la rivista scientifica The Lancet ha pubblicato lo studio INTERGROWTH-21(st), che ha creato degli standard internazionali per la valutazione dello sviluppo fetale fino al momento della nascita, misurando una popolazione “ideale” con adeguato stato socioeconomico e assenza di fattori di rischio prenatali.

Lo studio ha indagato in 8 Paesi (Brasile, Cina, India, Italia, Kenya, Oman, Inghilterra e Stati Uniti) 60.000 donne durante la gravidanza, valutando lo sviluppo fetale mediante la misurazione di parametri ecografici e 20.000 neonati, misurati per peso, lunghezza e circonferenza cranica, in base all’età gestazionale.

Queste carte di crescita, create su un vasto numero di neonati di diverse nazionalità, da un lato permetteranno di identificare più facilmente difetti di crescita intrauterini o problemi al momento della nascita, al fine di migliorare l’individuazione precoce di eventuali patologie e consentire un tempestivo approccio terapeutico; dall’altro, ridurranno il rischio di errori legati al background genetico in Paesi che sono sempre più multietnici.
Inoltre, le carte di crescita universali permetteranno di condurre studi clinici nei vari Paesi, con dati confrontabili tra loro.

Vera MORETTI