Questioning Pictures è il nuovo progetto espositivo di Stefano Graziani in mostra all’Osservatorio in Galleria Vittorio Emanuele II a Milano dal 9 novembre 2017 al 26 febbraio 2018.
La mostra, curata da Francesco Zanot, include un nuovo corpus di opere
commissionate dalla Fondazione Prada che esplora la fotografia come strumento di narrazione, catalogazione e reinterpretazione.
Graziani indaga sistemi di archiviazione e conservazione di musei come il Canadian Centre for Architecture (CCA) di Montreal, il Sir John Soane’s Museum di Londra, il Kunstmuseum Basel, il Museum Insel Hombroich di Neuss, il Museo di Castelvecchio a Verona e la gipsoteca del Museo Canova a Possagno, concentrandosi sul rapporto ambivalente tra fotografia e oggetto museale.
“Il fotografo si muove su un territorio ambiguo: da una parte svolge un lavoro di documentazione di materiali diversi come disegni e modelli architettonici, libri, fotografie e dipinti, dall’altra intraprende un percorso di interpretazione attraverso un uso attento delle luci e degli angoli di ripresa e l’inclusione nei suoi scatti di elementi di disturbo – Si legge nella presentazione della mostra – Le sue fotografie non solo rivelano raccolte museali e archivi a cui solitamente il pubblico non ha accesso, ma li riattivano secondo logiche e prospettive del tutto soggettive”.
Come sostiene Francesco Zanot, “Questioning Pictures” è “una sorta di crash-test progettato per verificare la capacità del museo di resistere agli attacchi esterni e aumentarne proporzionalmente la porosità. Trasforma l’invisibile in visibile scongiurando l’eventualità di una successiva inversione di questi termini, e mettendo così in luce uno dei principali meccanismi attraverso cui i musei generano e controllano il proprio potere. Anche le norme imposte dai musei per la riproduzione dei materiali in collezione svolgono la medesima funzione. Graziani le elude sistematicamente compiendo un atto di resistenza. È un gesto di disobbedienza civile esercitato attraverso l’adozione di un rigore etico e formale che ricorda le fotografie di Walker Evans e Lewis Baltz. Si confronta con un dato indiscutibile: ‘Poiché la macchina fotografica è letteralmente un apparecchio per archiviare, ogni fotografia è… a priori un oggetto d’archivio’, come sostiene Okwui Enwezor. E si impegna nella fabbricazione di un anti-archivio”.
Attraverso un dispositivo allestitivo, concepito dallo studio OFFICE Kersten Geers David Van Severen come un sistema di paraventi colorati e modulabili, disposti sui due livelli dell’Osservatorio, si creano degli accostamenti visivi e semantici inaspettati tra le fotografie e tra gli oggetti rappresentati. Il modello di un edificio di Aldo Rossi è collegato a un disegno di Gordon Matta-Clark, un album fotografico di fine Ottocento su Pompei è accostato a un plastico del Pantheon in mostra al Sir John Soane’s Museum di Londra, un gesso di Antonio Canova conservato a Possagno dialoga con le Tre Grazie di Lucas Cranach esposte al Kunstmuseum Basel e ancora una maquette di un progetto utopico di Cedric Price è associata a un prototipo di tavolo disegnato da Mies van der Rohe.
Ciò che unisce questo insieme eterogeneo di oggetti e opere d’arte è il pensiero di Graziani, la cui visione li trasforma in nature morte, disorientanti e inattese. “Enigmatiche proprio come la natura della fotografia che emerge qui in maniera lampante: documento-non-documento”, come osserva Zanot.
In questo progetto, la fotografia funziona inoltre come un nastro trasportatore, un collettore, un veicolo di trasmissione in grado di ricollocare e accostare opere lontane nello spazio e nel tempo e spesso impossibili da trasferire concretamente da un luogo all’altro. Inoltre opera come uno strumento che, attraverso sottili deviazioni, minime alterazioni e interpretazioni personali, scardina i sistemi di archiviazione e catalogazione tradizionali per conferire una nuova visibilità, e quindi una nuova vita, a documenti, materiali e opere d’arte conservati in raccolte museali. All’interno di questi archivi Graziani introduce dei “virus visivi e intrepretativi” e compie un’azione di “hackeraggio” che innesca una catena potenzialmente infinita di nuove analisi ed enigmi.
MaZ