Quando abbiamo il raffreddore, quando ci facciamo male ad una gamba o, ancora, quando ci rompiamo un braccio, non abbiamo dubbi. Andiamo dal medico e/o in ospedale per farci curare. Ma quando sentiamo disagio a stare con gli altri, quando l’ansia prende il sopravvento, quando il panico ci attanaglia impedendoci di vivere una vita serena, quando le nostre risorse psicofisiche vengono meno, ecco che diventa più complicato riconoscere che stiamo veramente male e chiedere aiuto. E spesso è proprio il lavoro a metterci, più di ogni altra situazione, a rischio burnout.
Rischio burnout per un lavoratore su tre
E oggi che, come ogni anno, si celebra il World Mental Health Day, ricorrenza che sensibilizza e promuove il benessere mentale in tutto il mondo, vogliamo porre l’accento proprio su questo sindrome che tocca da vicino anche i lavoratori italiani. Secondo uno studio condotto da GoodHabits, piattaforma internazionale per la formazione aziendale, in collaborazione con YouGov, quasi un dipendente italiano su tre (30%) dichiara di essere a rischio burnout e per questo di aver cambiato o di voler cambiare lavoro.
Un rischio che tocca particolarmente i più giovani
L’indagine ha preso in esame un campione di più di mille dipendenti italiani, evidenziando una nuova preoccupante evidenza sullo stato della loro salute mentale. Se già nel 2023, come rivelava una precedente ricerca di GoodHabitz, il 70% dei lavoratori era a rischio burnout, oggi, dagli ultimi dati emerge che poco più di 1 su 2 (55%) si definisce soddisfatto del proprio percorso lavorativo mentre sempre più persone hanno cambiato o stanno valutando di cambiare lavoro per motivi di insofferenza verso la propria mansione (30%). La percentuale tocca particolarmente i più giovani e cresce per la fascia under 44 (millennial / gen Z) raggiungendo il 34% contro il 28% degli over 45.
Rischio burnout prevalentemente nei grandi contesti aziendali
Un altro aspetto interessante emerso dallo studio riguarda il contesto lavorativo in cui questa sensazione si manifesta: la condizione di stanchezza verso il proprio lavoro è più marcata nei grandi contesti aziendali (32% tra i lavoratori di aziende con oltre 250 dipendenti), dove altresì la ricerca di una remunerazione migliore gioca un ruolo cruciale nel desiderio di cambiamento (42% contro il 38% nelle piccole e medie imprese).
Il cambiamento può essere anche per ragioni economiche
Il dato sullo stipendio lascia, inoltre, spazio ad un’altra riflessione importante: sebbene la stanchezza giochi un ruolo cruciale tra chi ha avuto o desidera dare una svolta alla propria carriera, il motivo principale del cambiamento per la maggior parte degli intervistati è di natura economica. Il 40% dei lavoratori, infatti, è in cerca di una maggiore soddisfazione remunerativa, una percentuale che sale al 44% tra gli under 44.
Rischio burnout: eliminarlo andando alla ricerca di un percorso professionale più adatto alle proprie attitudini
Seguono altre ragioni di natura personale: il 25% dei dipendenti ha compreso di essere in cerca di un percorso professionale più adatto alle proprie attitudini, mentre il 26% sogna un vero e proprio cambio di vita. La percentuale evidenzia un crescente bisogno di allineare la carriera alle proprie aspirazioni personali, ed è particolarmente sentito nella fascia dei milliennial e Gen Z, che superano la media generale arrivando al 30%. Il dato si rispecchia inoltre in un altro aspetto interessante emerso dalla ricerca: per 3 dipendenti italiani su 4 (74%) le soft skills servono a costruire la propria carriera ideale e per l’81% dei lavoratori queste competenze permettono di scoprire nuove predisposizioni personali e a sviluppare il proprio talento.
Solo il 23% dichiara di aver sviluppato competenze di gestione dello stress
Nonostante ciò, sembra che in Italia l’attenzione verso tutte le soft skills non sia ancora pienamente diffusa: i dipendenti italiani di aziende con almeno 10 dipendenti affermano di aver guadagnato maggiormente capacità razionali come problem solving (44%) e team working (33%), piuttosto che competenze emotive, motivazionali o gestionali. Infatti, appena il 23% dichiara di aver sviluppato competenze di gestione dello stress e solo il 10% di gestione dei conflitti, aspetti importanti per la conduzione positiva del proprio lavoro e del rapporto con i colleghi.
Le dichiarazioni di Paolo Carnovale
“In un momento in cui l’attenzione e la cura nei confronti della salute mentale è sempre più centrale, i risultati della nostra ricerca ci pongono di fronte a una realtà che non possiamo sicuramente ignorare. La stanchezza e la ricerca di un lavoro soddisfacente sono segnali chiari di un disagio che colpisce un numero crescente di lavoratori italiani”, afferma Paolo Carnovale, Country Director di GoodHabitz Italia.
Rischio burnout: come ridurlo
Carnovale prosegue poi ponendo l’accento su come ridurre il rischio burnout: “È fondamentale, perciò creare un ambiente di lavoro che non solo promuova la crescita professionale, ma che supporti anche il benessere psicologico dei dipendenti. Non si tratta certamente di un progetto a breve termine, ma di un percorso che coinvolge, in primis, un investimento maggiore nelle soft skills, soprattutto la gestione dello stress e dei conflitti, in modo da orientare ognuno all’ascolto, alla condivisione di buone pratiche e al lavoro di squadra. In ultima analisi, tutti questi fattori possono intervenire positivamente sulla motivazione del dipendente, prendersi cura della sua salute mentale e arginare la sensazione di stanchezza”.
P.P.